MouniJi

Premessa

Ho scelto di scrivere un articolo sul Maestro MouniJi perché, pur conoscendo poche informazioni su di lui, in questo periodo lo sento vicino. Sono quelle sensazioni che capitano durante il percorso di pratica, percezioni che all’inizio non ti sai spiegare, ma di cui inizi a fidarti perché capisci, col tempo e l’allenamento, che hanno un fondamento.

Quest’articolo non vuole essere una biografia del Maestro, che sarebbe a dir poco lacunosa, ma il tentativo di tracciarne la figura secondo le informazioni trovate principalmente nel libro di Patrick Kelly ”Infinite Tao”, inevitabilmente riviste dalla mia lettura ed interpretazione, secondo un sentire e non un sapere che, sebbene necessiti di comprovazione perché si possa dire se corrisponde o meno a verità, spero possa essere per lo meno utile ad incuriosire ed animare la ricerca su questo Maestro e sul suo insegnamento

MouniJi lo Yogi misterioso

Lo Yogi misterioso

…Situato in modo da non dare nell’occhio, dove la città si fondeva con il Deserto del Rajasthan, c’era l’ashram di Mouni Maharaj, un misterioso Yogi…

È con queste parole che Patrick Kelly introduce la figura di MouniJi nel suo libro Infinite Tao, e già da ciò si capisce che questo Maestro ha in sé qualcosa di indicibile, che sfugge alla razionalità e al pensiero, ma che in qualche modo ci parla, in modo profondo e poco descrivibile. Ancora di più se si pensa che questa fu la frase con cui il Maestro Abdullah invitò Patrick Kelly ad andare a cercare quello che lui stesso definisce lo “Yogi del deserto”.

Cercare, sì, perché Patrick non ebbe altre informazioni per trovare MouniJi se non quelle riportate qui sopra, in cui per “città” si intende la località di Mertha, una suddivisione che si trova nel Rajasthan, lo stato più grande dell’India, situato nella parte settentrionale del Paese. Una città, Mertha, di oltre 40.000 abitanti.

D’altra parte, MouniJi poco aveva a che fare con la classica figura del santone che spesso si associa all’India, popolata di personaggi la cui fama arriva fino in Occidente. Anzi, Mouni Baba, come veniva chiamato dai locali, “scoraggiava i visitatori tranne quelli che desideravano veramente conoscere se stessi.

Una presenza, quella di MouniJi che non aveva bisogno di parole. Lo stesso nome Mouni vuol dire “colui che non parla” e da quel che racconta Patrick Kelly, che lo incontrò per la prima volta nel 1979, “andando indietro al 1935, non lo si era mai sentito parlare”.

Del resto, nella maggior parte delle tradizioni spirituali, si dice che il vero insegnamento non passa attraverso le parole.

Ma c’era qualcosa di più: MouniJi era capace di sentire chiaramente i pensieri

Vita terrena

Probabilmente nato intorno al 1900, con un corpo che non lasciava trasparire i segni del tempo, la Via percorsa da Mouni Maharaj fu quella del Raja Yoga (Yoga Regale) che includeva tutti gli Yoga: Hatha, Bhakti, Jnana.

La sua prima apparizione avvenne nel 1935 in un piccolo villaggio del Punjab, uno Stato a nord-ovest dell’India. Alcuni anziani di Mertha, seguaci da allora di Mouni Baba, raccontarono a Patrick Kelly che “Mouni Maharaj semplicemente camminò all’interno del villaggio e sedette sotto un grande albero”. A quell’epoca era un sanyasin, condizione che nella tradizione induista prevede la rinuncia ai beni materiali e la totale dedizione al proprio cammino spirituale. La gente che lo vide per lo più lo ignorò, ma quando fece una predizione sugli effetti di un monsone che si avverò, la sua reputazione cambiò. Lasciò in seguito il villaggio per errare per l’India, visitando alcuni insegnanti tra cui Ramana Maharshi e Papa Ramdass, due tra i più conosciuti Maestri indiani. Stabilì per un po’ un ashram in Bangalore, capitale del Karnataka, uno Stato dell’India sud-occidentale, per poi arrivare nel 1955 a Mertha dove costruì un ashram in cui restò nei successivi quarant’anni, luogo in cui Patrick Kelly lo incontrò per la prima volta. Successivamente raggiuse il confine meridionale del Rajasthan, vicino al Monte Abu fino a trascorrere i suoi giorni nelle case dei suoi studenti, spostandosi da una città all’altra a seconda della necessità.

Ramana Maharshi

Di MouniJi si sa che meditò da solo per anni, fino a rimanere “semplicemente alla Presenza di Dio, muovendosi dentro e fuori da stati ‘inebrianti’”, e che all’epoca dell’incontro con Patrick Kelly stava indagando il mondo astrale e celestiale.

Col tempo aveva acquisito la capacità di lasciare volontariamente il corpo per giorni e giorni, confermando uno degli insegnamenti più importanti sulla Via: noi non siamo il corpo.

Una considerazione che ci porta a ripensare a tutto quello che la nostra cultura occidentale ci ha insegnato sulla morte e sul rapporto tra corpo e spirito. La Via insegna che il corpo è un veicolo che ci serve per fare l’esperienza sulla Terra, e che, dopo la morte, tornerà alla Terra. Non accade così per il nostro vero Sé…

Girando per i mondi astrali e celestiali, MouniJi vedeva la gente morire e nascere, andare e venire dai loro corpi. Trascendere il ciclo delle nascite e delle morti è uno dei raggiungimenti che si hanno durante la crescita spirituale e che, secondo George I. Gurdjieff, avviene quando si diventa un “Uomo n°4”, ovvero colui che ha portato a maturazione e armonizzato i tre centri: fisico, emozionale e mentale.

Il corpo è quindi “la nostra terra” ed alla Terra appartiene. Va tenuto in salute perché è attraverso di esso che avviene il primo lavoro su di sé, ma è necessario diventarne padroni e non subirne le inclinazioni o i desideri.

Perciò, al corpo Mouni Maharaj dava lo stretto necessario per rimanere in salute, condizione essenziale per continuare il lavoro spirituale anche ad altri livelli: durante il loro secondo incontro, avvenuto nel 1993, Patrick Kelly scrive che lo vedeva mangiare solo latte di mucca non trattato, con grandi quantità di zucchero, e bere l’acqua pura e glaciale portata all’ashram dalle sorgenti dei ghiacciai sciolti alla fonte del Gange sull’Himalaya, ricca di ossigeno.

Secondo la tradizione, un corpo in buona salute vive fino a circa centovent’anni: sono le nostre cattive abitudini, le nostre emozioni negative e i nostri pensieri negativi a rendere la vita del corpo più breve.

Mantenere un corpo in buone condizioni permette il passo ancor più importante del raffinamento interiore.

Papa Ramdass

Aiutare gli altri

Quando Patrick Kelly tornò a trovare MouniJi dopo quindici anni dal loro primo incontro, portò con sé i suoi due figli di quattro e sette anni, con l’intenzione educativa di metterli a contatto con una persona evoluta. Secondo MouniJi “i bambini piccoli sono puri”. È durante la crescita che l’inevitabile, quanto necessario, processo di sviluppo della mente superficiale prende spazio a discapito della Mente Profonda. Per questo motivo Patrick Kelly portò i suoi figli presso il Maestro: per sostenere ed aiutare la loro Mente Profonda così che non venisse in futuro totalmente sommersa dalla vita esteriore.

Solo un lavoro interiore su di sé può portare alla liberazione dalle nostre risposte automatiche verso l’esterno.

Tuttavia poche persone fanno uno sforzo sufficiente per raggiungere questo obiettivo. La maggior parte della gente rimane intrappolata nella coscienza superficiale, per nulla interessata ad uscire da quella situazione. Non solo, se cerca un aiuto spirituale, spesso lo fa per ottenere qualcosa per sé, come benessere, salute o prestigio personale, cosa che Patrick Kelly vedeva accadere in continuazione intorno a MouniJi: molti cercavano l’attenzione del Maestro per prendere il più possibile da lui ed evitare uno sforzo personale.

La Via prevede che uno studente, dopo aver appreso un insegnamento, torni alla propria vita quotidiana adoperandosi per mettere in pratica ciò che ha precedentemente appreso, evitando la dipendenza dal Maestro e dedicandosi ad aiutare le persone a lui vicine. Più la persona si sforzerà in questo senso e più riceverà aiuto.

È ciò che mettiamo in pratica quindi che ci fa crescere. Ben lontano dal mero apprendimento intellettivo, la vera conoscenza passa attraverso la sensazione, tramite l’incarnazione di ciò che si è afferrato. Il processo di comprensione è molto più profondo del semplice rammentare: riguarda il ricordare e il rimembrare. La vera conoscenza quindi coinvolge, comprende, tutti e tre i centri: intellettivo, emozionale, fisico.

Il processo di crescita spirituale non può avvenire senza uno sforzo personale di comprensione che passa attraverso un lavoro su di sé, e svela i propri automatismi, resistenze e risorse interiori.

Ma non solo. Secondo MouniJi infatti abbiamo un dovere interiore, che è “cercare la ‘Realizzazione’”, ed uno esteriore che consiste nel “vivere bene la vita ed aiutare coloro che ci circondano”, dalla propria famiglia a coloro che si incontrano lungo il cammino.

La Via non può quindi riguardare solo noi stessi ed è lontana da quell’atteggiamento dell’ego che ci porta solo a prendere, al posto di dare. Anzi, superata la quarta iniziazione ed entrati nel quinto livello di energia, aiutare gli altri sarà l’unico lavoro richiesto.

MouniJi lo Yogi misterioso

Quando Patrick Kelly tornò a visitare MouniJi nel 2003, portando con sé la moglie e i suoi quattro figli, il Maestro vagava da una casa all’altra dei suoi studenti con la sola intenzione di aiutare le persone, all’età di quasi cento anni. Aveva raggiunto la “Realizzazione” e confidò a Patrick : “L’unica cosa che c’è da fare adesso è aiutare gli altri”.

Per essere d’aiuto alla comunità, Mouni Maharaj partecipava alle cerimonie religiose locali, con l’intento di sostenerne l’aspetto benefico. Non c’erano dubbi che ritenesse che il Divino fosse dentro di noi, e che avesse un concetto di Dio lontano da quello comunemente diffuso dalle religioni; tuttavia si atteneva ai riti esteriori, supportandone gli elementi positivi, pur essendone completamente libero interiormente. Anche il concetto di preghiera era ben distante da quello comunemente inteso. MouniJi sosteneva che “la vera preghiera è oltre le parole” e ha lo scopo di “raggiungere il vero Sé”. Tanti dei suoi studenti più maturi si dedicavano alla preghiera manifestando verso di lui un “tranquillo amore interiore e una gratitudine che si esprimevano nella loro volontà di aiutare ogni volta che fosse stato possibile”.

Patrick Kelly incontrò MouniJi per l’ultima volta nel 2007, poco prima della sua morte avvenuta il 31 ottobre di quello stesso anno.

Nel suo libro “Infinite Taoscrive che Mouni Maharaj è stato il Maestro che più ha indagato nel secondo, terzo e quarto livello di energia.

Una presenza che al loro primo incontro Patrick definisce come “calma, accogliente, vitale”. Un Maestro che non aveva bisogno di parole ma che era testimonianza vivente del percorso da intraprendere per evolvere spiritualmente, di quella Via che è mistero e rivelazione al tempo stesso, unione e dedizione, fiducia e comprensione profonda.

MouniJi lo Yogi misterioso
MouniJi